Non è questo un saggio sulle imprese di David Crosby, le sue avventure e disavventure, la sua discografia.
Quelle potete trovarle su Wikipedia.
E visto che molti si stanno premurando di scrivere elogi funebri o raccontare aneddoti che nessuno conosce sulla sua vita, io vorrei soltanto condividere poche righe su quello che David Crosby significa per me.
E sia chiaro che non sto usando un verbo al passato di proposito.
Non è molto accattivante come incipit, per cui chi non fosse interessato alle elucubrazioni del sottoscritto può serenamente passare alla prossima lettura.
La foto che vedete sopra l’ho fatta io, è sfocata e ho deciso di tenerla così, forse per rispetto ad un’anima – e uno spirito del tempo – che non c’è più.
Era il 7 luglio 2009, il giorno del mio compleanno: e per coincidenza, il mio regalo fu proprio un concerto di Crosby, Stills e Nash.
Un paio d’ore intense, penso di avere pianto per quasi metà concerto.
Di gioia.
In un religioso silenzio, David Crosby con la sua 12 corde canta Guinnevere ed è come fare un salto improvviso in un’altra dimensione; anzi è come essere sparato direttamente dal chiasso terreno fin dentro il giardino dell’Eden.
Adesso, prima che si pensi che sono un’anima tenera, faccio un rewind veloce e riparto dal giorno in cui acquistai un disco di CSN appena uscito, era il 1977.
C’erano Dark star, Just a song before I go, eccetera e ovviamente non era il mio primo disco di CSN, conoscevo bene le loro gesta precedenti.
Quale chitarrista non ha provato ad accordarsi in quei modi “bizzarri” per provare a suonare Helplessly hoping e Suite: Judy blue eyes?
Però, in quell’inizio estate del 1977, nel cortile del liceo, eravamo in cinque ad avere ascoltato il disco e a commentarne pregi e difetti.
Credo che tutti convenirono del fatto che il pugno nello stomaco arrivava dalla voce di Crosby, mai così sfacciatamente angelica e diabolica allo stesso tempo, che guida In my dreams.
Quarant’anni più tardi, il genio musicale e l’abilità armonica di David Crosby non sono cambiate minimamente, malgrado le avversità che gli ha riservato la vita e che francamente lui ha contribuito a provocare.
Se da una parte fu lui ad introdurre al gotha del rock una giovanissima Joni Mitchell (che poco dopo scrisseWoodstock proprio per lui), dall’altra è la sua natura di litigioso ubriacone ad aver irrimediabilmente compromesso la collaborazione del trio con Neil Young e perfino la propria amicizia con Stephen Stills e Graham Nash, che pure per certi versi era la sua anima gemella.
Passato quello tsunami psicologico e fisico, Croz è riuscito negli ultimi anni a pubblicare dischi bellissimi – e non è un’esagerazione postuma! – dal 2014 in poi, come Croz (2014), seguito da Lighthouse (2016), Sky Trails (2017) e Here if you listen (2018, realizzato insieme a dei giovani musicisti che cantano con lui), fino all’ultimo For free (2021), con il ritratto realizzato da Joan Baez in copertina.
Ho avuto la fortuna di rivedere Crosby in concerto dopo il 2009 e l’emozione non è svanita.
Se mi sarà concesso, lui sarà uno dei pochissimi che vorrei, per un attimo, abbracciare in Paradiso, prima di tornare al posto che mi spetta.
(Ed Pisani)