Il concerto di Andrea Cubeddu ci è piaciuto così tanto, che dopo siamo rimasti a chiacchierare con lui di musica, ispirazione e miti greci: e siccome anche la chiacchierata era interessante, abbiamo chiesto al cantautore sardo di prestarsi a una vera e propria intervista, da illustrare con la usuale galleria fotografica a cura di Roberta Barletta!
Anzitutto, Andrea, ti va di presentarti? La tua scheda stampa faceva pensare a un cantautore quasi pop, mentre dal vivo hai piuttosto l’intensità di autori “antichi” come Nick Drake…
Eccomi! Mi chiamo Andrea Cubeddu e faccio il cantautore.
Ahimè, il mio progetto ha veramente poco del pop, almeno per la piega che il genere ha preso nel nostro presente.
Non amo particolarmente le definizioni.
Posso dire che la mia musica ha origini nelle armonie e melodie dei popoli che si affacciano sul Mediterraneo.
L’Italia è il luogo delle invasioni per eccellenza: siamo una penisola al centro del Mediterraneo, e i popoli che qui vi abitano sono figli dell’incontro di numerose migrazioni provenienti dall’Eurasia e dall’Africa.
Così è la mia musica, un miscuglio di influenze.
Per quanto riguarda i testi, mi ispiro alla poesia dei Grandi del secolo scorso: Leopardi, Pascoli, D’Annunzio, Pavese, per citarne alcuni.
Ho sempre amato la musicalità, l’equilibrio e la forza immaginifica dei versi da loro composti.
Saper dire così tanto, con poche e giuste parole.
Cerco di avvicinarmi a questo ideale di scrittura.
Il tuo progetto è molto anomalo: la ricchezza degli arrangiamenti dei CD non soffre sicuramente nella trasposizione nella versione solista, ma vedere un cantautore girare da solo col furgone, le casse e il mixer, pronto a esibirsi dove c’è un pubblico interessato, non è certamente in linea con i “modelli moderni” della musica pop. Ti va di raccontare il tuo percorso?
Ho iniziato a lavorare nella musica nel 2015.
Vivevo a Milano, studiavo in una delle tante accademie di chitarristi della città, e sentivo il bisogno di mettere in atto gli insegnamenti e le conoscenze acquisite in anni di studio.
Volevo dimostrare a me stesso che avrei potuto vivere di musica.
Ovviamente, volevo anche avere qualche soldo in più in tasca, visto i costi elevati della città.
Ho iniziato a suonare del blues per strada. Ho scritto i miei primi brani in inglese, in quello stile.
Dal 2015, ho continuato verso questa direzione.
Dalla strada, ai locali e ai festival.
Nel 2019, dopo un paio di album in inglese, ho sentito il bisogno di uscire da uno genere musicale che tanto mi aveva aiutato, ma che non soddisfaceva più le mie necessità.
Avevo bisogno di comunicare in italiano, nella lingua in cui parlo quotidianamente, ecco.
Ho cercato di ascoltarmi nel profondo, di dar voce a melodie e suoni che già cantavano dentro di me, ed è nato Nostos, il mio primo album in italiano.
Eudaimonia, pubblicato nel 2021, è il fisiologico seguito di questo viaggio intrapreso.
La musica che suono ha poco in comune con il pop o, meglio ancora, con la musica commerciale contemporanea.
Non cerco di soddisfare le esigenze del consumatore. Io racconto di me a me stesso.
Metto nero su bianco quei momenti della mia vita, quegli attimi di consapevolezza che più mi hanno formato.
Li fotografo in musica, per averli davanti, cantarmeli e ricordarmi fin dove sono arrivato, nella conoscenza di me stesso, e non riperdermi davanti alle avversità già superate, che a ritrovarle alcune volte ci si dimentica, di averle già viste.
Sono ben consapevole del risultato: la mia musica non coinvolge tutti e non è sempre di immediata decodifica.
Ecco perché suono in giro per l’Italia, con il mio furgoncino, con un impianto tutto mio.
Scovo le realtà che vogliono accogliere il mio progetto, che siano esse circoli, teatrini, locali e anche pub, perché no.
Ci dialogo, ci intesso legami.
Non vendo un prodotto a utenti di un target preciso, ma sviluppo una rete fatta di persone, un pubblico eterogeneo, interessato all’ascolto e al confronto.
In molte delle canzoni hai utilizzato la mitologia classica, per raccontare sentimenti attuali, e a fine concerto hai approfondito il tema, sottolineando quanto gli dei greci incarnino pulsioni umane: ti va di spiegare anche a chi non c’era i perché della tua scelta?
Certamente! Faccio un piccolo preambolo.
La nostra forma mentis sul concetto di divinità è chiaramente di foggia cristiana.
Il dio cristiano, quello del Nuovo Testamento, è un’astrazione in positivo dell’uomo stesso, una sua versione eterna, immortale e perfetta, prima di difetti, buona e giusta.
Gli dei greci hanno una forma ben differente.
Rappresentano ognuno, con pregi e difetti, un aspetto a sé stante della sfera emotiva e mentale umana.
Prendiamo per esempio Ares, il dio della guerra.
Nella concezione di divinità cristiana, dovrebbe rappresentare l’aspetto benigno e giusto, se questo è mai esistito, della guerra.
Invece nel modo greco è l’incarnazione della rabbia, della violenza impulsiva e sregolata, decisamente prima di moralità.
Nel mito viene descritto come un dio impulsivo, poco acuto e molto volubile.
Lo si venerava, certamente, ma in relazione a quanto la polis di turno legittimava la guerra, e a quanto dava importanza all’impulsività e alla violenza nella vita quotidiana.
Atene, per esempio, rispetto alla bellicosa Sparta, non ne tributava eccessivi onori.
Dava più importanza ad Apollo, dio della ragione, della società, e Atena, dea della saggezza e delle arti, intese come abilità mentali e manuali.
Gli dei greci raccontano di passioni quotidiane, che tutti possono ritrovare in sé e negli altri, buone o cattive che siano, sociali o antisociali, consce e inconsce.
Nelle mie canzoni uso il mito perché racconta ancora il nostro presente emotivo.
I personaggi che lo abitano gioiscono e patiscono come noi.
Affrontano sfide quotidiane, dubbi esistenziali, fanno scelte formanti e decisive, subiscono l’influsso degli eventi, della sorte.
Vivono, insomma, e sono da esempio, nel bene e nel male.
I miti hanno infinite chiavi di lettura e, quindi, molteplici interpretazioni.
In relazione a che aspetto della vita umana, del mio presente, voglio raccontare, cito un mito piuttosto che un altro, do voce ad un eroe o ad un eroina, racconto i miei dolori e le mie gioie attraverso volti noti, antichi e immortali.
Questo effetto di “immedesimazione” mi aiuta infine a dare importanza alle mie emozioni, al mio presente, a non sentirmi solo nel viverlo: entro così anche io a far parte di questo immaginario collettivo, non più solo ma sulla scia dei grandi del mito.
In molti siamo rimasti colpiti dal tuo concerto (che potete rivedere qui): quando e dove ti potremo riascoltare?
Intanto ci sono i cd, che distribuisco io direttamente!
Si trovano in formato digitale, ma la copia fisica è sempre meglio…
E poi, io sarò di nuovo da queste parti nel prossimo febbraio, magari si riesce a organizzare qualcosa!
Come sapete, giro tantissimo, non mi fermo mai…