Mi sono chiesto tante volte cosa avrei pensato se fossi stato tra i pochi presenti quella sera del 17 agosto del 1960 all’Indra Club di Amburgo. O nei pub del Surrey nell’inverno del 1962. O magari davanti alla Sinagoga di Seattle nell’estate del 1959, o sulle scale di quella chiesa dimessa, dietro alla Cappella San Severo, nella Napoli di metà anni ‘70.
Ci sarebbe stato già il Genio nelle note? E io lo avrei riconosciuto?
Chissà.
Questi pensieri mi hanno accompagnato venerdì scorso, mentre ascoltavo un gruppo di esordienti che compongono e suonano il loro ottimo jazz, inizialmente un po’ emozionati per uno dei primi concerti in un posto che non nasconde la sua Storia. Un quartetto affiatato ed entusiasta. La sensazione di freschezza e di gioiosa professionalità.
Anche in brani introversi come Veil e Eidolon, che paiono costruiti sulle ultime scie di incertezze e malinconie adolescenziali, per poi dissolversi nelle note di pezzi più maturi e “sicuri” come 27 (il mio preferito), Beneath the Twilight e Collide e persino nelle apparenti ossessioni gotiche di Ex Machina, ho visto una strada piena di promesse e un grande amore per la musica, che è già premio a se stesso.
E così, nel Francesco Sensi Quartet che ha suonato il suo primo album “In Abstracto” il 5 aprile alla Casa del Jazz di Roma, ogni cosa è al suo posto. I suoni sono fluidi, le percussioni di Marcello Repola precise, la chitarra di Francesco Sensi domina agevolmente la scena, ma sa quando lasciare spazio al piano di Davide Cabiddu e al contrabbasso di Enrico Palmieri e quando tornare a ricucire al momento giusto, tutti assecondando ed esaltando il pensiero musicale di un ottimo, giovanissimo compositore.
Una bella serata di musica, di emozioni e di sogni per il futuro.