Innamorarsi di un singolo non vuol dire ascoltare buona musica.

Una playlist fatta col cuore.

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Lasciate all’algoritmo gli stadi. Lasciate che l’algoritmo se la canti e se la suoni da solo.

Don’t feed the trolls. Ah, se nessuno desse retta alla falsa informazione a cui, profilatissimi, siamo sottoposti.

Si fa critica-polemica sul supercosto di spettacoli che non servono ad altro che a indebitarsi definitivamente (pare sia una nuova moda).

Come potrebbe essere un articolo sulla rovina della musica: dall’avvento di Facebook prima, a Napster prima ancora (che non era il male), fino a Spotify (che invece lo è). Prima i singoli, poi gli album, le finte hype e le playlist brutte.

Basta cavalcare l’onda dell’algoritmo: lui sì che ci capisce e ci sostiene.

Prima era lo straniamento da troppe uscite, prima ancora la ricerca dell’arte su cui mettere popolarmente mano.

Che poi — dopo tutto questo lavoro durato anni di digging — arriva il vicino di casa che ha chiesto alla figlia diciottenne (ammorbato dalle mie) una playlist. Ovvio che lei gli ha tirato giù una cosa commerciale, da classifica. Che il padre non capisce… ma immagino abbia fatto un confronto con quello che gli propino ogni giorno e si sia fatto un’idea della fatica che c’è stata dietro.

Fino a quando ho perso i contatti con i miei pusher buoni — che ne avevo imparato anche le personalità e i gusti senza mai averli incontrati di persona. C’era ancora Usenet, neanche il WWW.

Insomma, sarebbe meglio lasciar perdere. Perché si arriva a un’età in cui neanche i premi di consolazione bastano più a coprire i cattivi ricordi. E il nuovo eroe, il nuovo stile, non arriva mai.

Non si tratta di fare musica fatta bene — quella ormai la sanno fare anche i giovani di periferia.

Si tratta di un vuoto. Probabilmente di emozioni legate a ricordi vivi. Un’empatia che non c’è più, una rivolta che non c’è più.

Che all’epoca era il bancario fiacco e in cravatta, che la sera si scatenava col punk.

E adesso, lo stesso bancario, dopo una vita in famiglia, ha gli stessi appigli che ho io. Incredibili. Nel senso che non c’è nessuna energia a cui aggrapparsi. Soprattutto quella della gioventù.

Cigni neri all’orizzonte. Cigni neri all’orizzonte.

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