
L’apertura del FORTE! Festival 2025 è una presentazione davvero speciale: il grande chitarrista (civitavecchiese, anche se ormai noto e attivo a livello internazionale!) Marco Mattei viene a lanciare il suo secondo disco solista AGE OF FRAGILITY, realizzato con una band da sogno (Tony Levin e Jerry Marotta – la sezione ritmica di PETER GABRIEL IV!) e in uscita proprio il 16 maggio, quando lui sarà al festival, affiancato da altri due grandi musicisti della nostra Città (Duilio Galioto e Gianni Pierannunzio) per raccontare e far ascoltare dal vivo alcuni dei nuovi brani. In attesa di incontrarlo di persona venerdì 16 maggio alle 17 nella sede di FORTE! Festival (piazza Saffi 37, Civitavecchia), abbiamo chiesto a Ed Pisani di intervistarlo per farsi raccontare AGE OF FRAGILITY.

Il tuo nuovo lavoro AGE OF FRAGILITY esce il 16 maggio, peraltro in occasione del FORTE! Festival a Civitavecchia. Ho letto una recensione su RECSANDO che lo definisce:“… un vero specchio della nostra epoca. Marco Mattei firma un’opera audace e senza compromessi, una fusione sorprendente di worldbeat, progressive rock e art rock che si radica nel solco dei grandi maestri (Peter Gabriel e Pink Floyd, Radiohead, Paul Simon, King Crimson) ma traccia una via del tutto personale.” Ti ritrovi in questa descrizione?
Questa recensione è così lusinghiera da mettermi quasi in imbarazzo, però con le dovute proporzioni, sicuramente mi ritrovo in quelle influenze, e sicuramente trovo che l’intenzione sia stata colta, il voler andare ad attingere a quei generi musicali, creando qualcosa di originale, filtrando attraverso la mia personalità, la mia sensibilità queste influenze.
Nella mia discoteca personale, devo classificare i dischi di Marco Mattei vicinoai King Crimson o più vicino alla Premiata Forneria Marconi?
Bella domanda, se dovessi proprio dire, soprattutto questo ultimo lavoro, probabilmente più vicino alla Premiata Forneria Marconi. Se non altro diciamo per un’influenza etnica, mediterranea, che loro stessi hanno avuto in un certo periodo della propria carriera.
AGE OF FRAGILITY esce dopo OUT OF CONTROL (2021), che io considero un’opera straordinaria, e in cui avevi già coinvolto Tony Levin, Jerry Marotta, Pat Mastelotto e Chad Wackerman. C’è più continuità o più discontinuità tra questi due album?
Ma diciamo che siamo a metà: c’è continuità rispetto a una parte dell’album. Ci sono alcuni brani di OUT OF CONTROL come, per esempio, Would I Be Me o More Intense, il cui filone è stato ulteriormente sviluppato in questo disco anche in termini, come dicevi, di collaborazioni. Su OUT OF CONTROL, sia il genere che il numero di collaboratori è stato molto più ampio, e in questo caso, la collaborazione è avvenuta – anche dato il periodo storico – tutta da remoto. In questo caso, invece, la grossa differenza è che con Jerry Marotta e Tony Levin ci siamo visti a giugno dello scorso anno (2024) in uno studio – che si chiama Dreamland a Woodstock, New York – dove ci siamo ritrovati con Duilio Galioto, uno dei migliori musicisti che io conosca e un amico da 35 anni. Con Duilio siamo andati e abbiamo registrato in una settimana tutte le tracce di base dell’album, e poi l’album è stato finito successivamente.
Quindi per tornare alla tua domanda, continuità, in termini della collaborazione con Tony e Jerry e anche con Duilio, che aveva partecipato a diversi brani di OUT OF CONTROL, e continuità rispetto a un certo tipo di sonorità di alcuni brani del primo disco. Discontinuità, perché il concetto è diverso e soprattutto perché c’è stato un lavoro in studio in concomitanza con i musicisti, invece che da remoto.

I testi di AGE OF FRAGILITY toccano i temi della solitudine, della dipendenza emotiva, la fragilità delle relazioni, la depressione. C’è, insomma, un’introspezione umana molto profonda. La musica ti aiuta ad esorcizzare questi sentimenti, ha una funzione catartica? C’è poi un riscatto, una sorta di resurrezione, secondo te?
Sicuramente è una funzione sia catartica che terapeutica quella della musica.
I temi sono decisamente profondi e decisamente sensibili. L’idea di fare questo concept è arrivata proprio nel periodo del Covid e immediatamente dopo. Perché è stato un periodo che, dal mio punto di vista, sia durante che dopo, ha messo molto più in luce la fragilità di alcune delle relazioni e dei rapporti, e più in generale della società intera. Quindi ho pensato di scrivere un album che avesse questo come filo conduttore, andando poi a scrivere i diversi brani su ciascuno di queste aspetti, la solitudine, la depressione, la fragilità delle relazioni. E c’è sicuramente una luce in fondo al tunnel, la musica di per sé è catartica, se non ci fosse speranza non varrebbe neanche la pena di scrivere le canzoni! La musica ci aiuta durante il periodo buio e ci aiuta a traghettarci verso un futuro più positivo e di speranza.
Anche in questo disco affidi alle voci di interpreti diversi i vari brani: per esempio tra Just Tired e Human Again, sembra proprio che la voce trasmetta messaggi ed emozioni diverse: cosa ne dici?
Concordo assolutamente! L’idea di questo concept era di creare un collage di situazioni e quindi anche di personaggi; e quindi ho pensato che potesse essere efficace affidare a diversi cantanti il compito di interpretare questi diversi personaggi all’interno del disco, sempre con un filo conduttore però, appunto storie diverse in brani diversi.
Tu hai vissuto 16 anni in giro per il mondo, in tre continenti diversi, come hai raccontato sul tuo sito web www.MarcoMattei.art: quale suono, quale strumento assoceresti a ciascun continente in cui hai vissuto?
Se dovessi cercare uno strumento un po’ al di fuori di quelli tradizionali, per quello che riguarda il continente americano, avendo vissuto in Texas, nel sud degli Stati Uniti, il suono che mi viene in mente è quello di un dobro, di un resonator, cioè di una chitarra di quelle che si suonano con lo slide, che in questo album non hanno trovato uno spazio, ma che avevo suonato in un paio di pezzi del vecchio album.
Per quello che riguarda l’Europa, mi viene in mente un suono più mediterraneo, e ti direi il bouzouki greco, che invece è uno strumento che ho suonato in diversi brani di questo disco; è un suono che mi intriga molto, avendo in mente come riferimento un album come CREUZA DE MA di Fabrizio De André… è il suono che associo all’area mediterranea.
Il continente asiaticoè un po’ più vasto e un po’ più difficile, forse potrei pensare agli strumenti indiani come il sitar o il tabla, perché sono strumenti che ho utilizzato.

Per concludere questa nostra chiacchierata, per FORTE! Festival e per Radio Alma Bruxelles (media partner del festival!), che ti seguono con attenzione e con affetto, ci dici quali sono i prossimi passi che prevedi di fare, sia per la promozione del disco, che per portarlo in tour?
Innanzitutto il primo appuntamento è quello del 16 maggio al FORTE! Festival di Civitavecchia, dove proporremo uno showcase che consisterà nell’ascolto di un paio di brani dell’album e in una breve intervista, e soprattutto in un mini-set in compagnia di Duilio Galioto alle tastiere e Gianni Pierannunzio alle percussioni. Quello è il primo passo, poi stiamo organizzando altri showcase simili, con l’intenzione di arrivare a portare questo lavoro dal vivo: al momento stiamo ancora lavorando sull’allestimento.
…e noi saremo sempre pronti non solo a trasmettere la tua musica ma a supportarti in qualsiasi modo attraverso FORTE! Festival e Radio Alma Bruxelles!
Grazie mille a te, un saluto a chi ci ascolta dal Belgio, a Radio Alma… e invece un appuntamento al 16 maggio per gli amici del FORTE! Festival a Civitavecchia!
(Ed Pisani, maggio 2025)
