In quel tempo irresponsabile e infinito tra liceo e università, ho seguito gli Style Council fin dalle… presentazioni (INTRODUCING, 1983). Sull’onda di una vecchia cassetta degli Jam, mille volte riarrotolata con la bic (SOUND AFFECTS, 1980), li ho poi lasciati alle loro derive house, verso la fine degli anni ’80, anche per preservare il ricordo dei primi tre album e dei pezzi che hanno accompagnato tanti Momenti che vale la pena di ricordare. My Ever Changing Moods su tutti.
Non li ho invece seguiti, se non molto distrattamente, nelle loro carriere più o meno soliste. Ma, quanto a Paul Weller, rimedierò senz’altro all’errore: il concerto di venerdì alla Cavea dell’Auditorium è stato come un buon caffè con un vecchissimo amico perso nel tempo e incontrato per caso al tavolino del bar.
Un poco di pioggia ha fatto saltare l’assegnazione dei posti e mi ha aperto un corridoio miracoloso fin sotto al microfono del Modfather, proprio mentre attaccava Cosmic Fringes. Wow! Stavo giusto pensando che sarebbe stata una serata al di sopra delle aspettative, quando mi ha raggiunto l’attacco del secondo pezzo: proprio My Ever Changing Moods! Così, “a freddo”. Inattesa e bellissima. Certo, non nella romantica e malinconica versione al piano, ma non sarebbe stata la giusta atmosfera.
Il concerto scorre poi con continue variazioni di ritmo e di umore (Paul’s ever changing moods, si sa…), con pezzi come I’m Where I Should Be e Father Tyme, fino al groove gioioso e trascinante di Headstart for Happiness (ancora un pezzo degli Style Council, impreziosito dal sax di Jacko Peake) e dell’inedita Jumble Queen, altra bellissima sorpresa.
Hung Up è l’occasione per ascoltare qualche pezzo di bravura di uno Steve Cradock in grande forma, mentre Paul Weller si riprende tutta la scena – e alla grande! – in Fat Pop, forse l’esecuzione migliore della serata. Ma il livello è sempre altissimo. Si balla di nuovo con Shout to the Top! (Style Council) e sugli assolo di batteria di Into Tomorrow, che però non portano al domani, ma al passato remoto dei Jam, con Start!
Una breve pausa e si riparte con On Sunset e l’iconica You Do Something to Me, fino all’ennesima sorpresa con la rara e preziosa That’s Entertainment (…la mia vecchia cassetta dei Jam!). La seconda parte si chiude con un curioso e deludente anti-climax, Wild Wood e Rockets, ma è solo un trucco per creare la giusta attesa per l’ultimo pezzo, che non poteva non essere A Town Called Malice. Ancora i Jam e balliamo tutti fino ai saluti.
Molto bravo il batterista, sempre puntuale, anche alla voce; e bravo il bassista, forse un po’ freddo, ma sempre presente e preciso. Personalmente ho trovato meno centrato il percussionista, che a volte mi è parso un po’ fuori dallo show. Dettagli, in uno spettacolo che ruota tutto sulla personalità, l’eleganza e la verve del vecchio Modfather, ispirato come se il tempo non fosse mai passato. That’s Entertainment! (La la la la la la…)