Notizie dal Forte! FESTIVAL - Civitavecchia. Musica e non solo.

Cantare, creare… ed emozionare!

Un resoconto quasi tutto al femminile della serata del 1 dicembre: le parole di Nadia Ceccarelli e le immagini di Roberta Barletta (…e di Rico Tranquilli!) raccontano storie e vibrazioni del concerto del collettivo di cantautori di FORTE! Festival

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La serata dei nostri cantautori è stata un momento significativo della storia di FORTE! Festival: il collettivo salito sul palco è riuscito a trasmettere alla platea tante “buone vibrazioni”, e la Città ha potuto apprezzare la vitalità di una scena artistica che è davvero comunità, come testimoniato anche dalla riuscita dell’esperimento della scrittura collettiva di un brano, realizzato dietro le quinte dai ragazzi sulla base di spunti forniti al buio dal pubblico. La canzone di chiusura dello spettacolo, creata con queste regole, è risultata una delle più apprezzate, anche grazie all’esecuzione collettiva e partecipata: applausi ai ragazzi, ma anche a Silvia Tamagnini che ha condotto le danze, e a Enrico Caporossi (regia e video) e Lorenzo Ceccarelli (audio) che hanno garantito l’alto livello tecnico del concerto. Tanto credevamo nel progetto, che abbiamo chiesto supporto alla Compagnia Portuale (che ringraziamo!), per poter realizzare con Roberto Giannessi/Baita Crew un video professionale dell’evento, che potrete vedere presto anche voi: e invece del solito resoconto giornalistico, abbiamo preferito un racconto più personale, realizzato dalla nostra Nadia Ceccarelli parlando con gli artisti saliti sul palco. Grazie a tutti!

 

 

Al teatro Granari Off di Civitavecchia, c’è la fila in biglietteria: sono le 17,00 circa, lo spettacolo di cantautorato con artisti emergenti locali CANTARE, CREARE… SENTIRSI TUTTI UGUALI inizierà tra un’ora circa. Fermento, curiosità: a ognuno che acquista un ingresso, viene chiesto di scrivere una parola su un bigliettino rosa da riconsegnare subito.

Durante lo spettacolo, nei camerini dietro le quinte, gli artisti lavoreranno insieme: oltre a presentare sul palco i propri brani, partiranno dai suggerimenti del pubblico, dalle parole sui bigliettini rosa, per scrivere collettivamente una canzone che verrà presentata alla fine del concerto”, spiega Giulia, la ragazza alla cassa.
Idea interessante, penso, mentre cerco per vie traverse di raggiungere l’interno senza dare nell’occhio.

 

Il palco è già caldo, i ragazzi stanno preparando l’evento, e la passione per la musica che li accomuna si tocca con le mani: qualcuno monta gli strumenti, qualcun altro li prova, qualcun altro ripassai suoi brani. Vado dietro le quinte e incontro Phil (Alberto Burattini), che si ferma a chiacchierare sorridendo con gentilezza.

Diciamo che la musica mi genera emozioni forti da quando ho coscienza, suonare è diventato anche un modo per fare esperienze e conoscere persone. La cosa che mi piace è che in musica quello che conta è come ci si sente, tutto il resto è secondario. Ho sempre desiderato che scrivere e fare musica avesse un ruolo nelle mie giornate, anche senza diventare la mia occupazione principale. Preferisco cantare in inglese, la musica in italiano è entrata nei miei ascolti quotidiani solo verso i 18/19 anni. L’inglese lo trovo più comodo sia per cantare che per scrivere ma ultimamente comincio a pensare che l’italiano conceda più modi di esprimersi.

Com’è salire sul palco?“Prima, quando dovevo andare in scena, mi agitavo un sacco e mi si freddavano le mani, ora gestisco meglio la tensione; faccio un bel respiro e vedo come va cercando di capire e godermi il pubblico e la situazione. E quando non va, cerco di capire come fare per farla andare meglio la prossima volta. A volte sbagliare ti da pure modo di capire quanto conta davvero quell’errore, a cui molto spesso diamo più importanza di quanta effettivamente ne abbia.” E domani? “Il progetto è quello di scrivere più pezzi in italiano e in collaborazione con altre persone. Poi il sogno nel cassetto da quando sono piccolo è imparare un po’ la batteria e soprattutto il piano, prima o poi, magari mi ci metto!”

Mentre parliamo, qualcuno si è fermato ad ascoltare: Acquasorgiva (Alice Pacchiarotti), che è contenta di raccontare qualcosa di sé. “La mia passione per la musica è nata in modo spontaneo a dieci anni. Mio fratello, più grande di me, praticava in casa i dj set da suonare live a Civitavecchia. Ho ascoltato molta musica elettronica e, in quel periodo mi sono appassionata a diverse pop star come Lady Gaga, Michael Jackson, Britney Spears, etc. Da lì ho capito che avrei voluto cantare. All’inizio pensavo di dedicarmi semplicemente al canto. Con il tempo, invece, mi sono accorta che scrivere (anche solo per me stessa) mi faceva stare bene. In più, spesso mi divertivo a inventare melodie. Ho iniziato a scrivere canzoni nel 2021.”

L’attesa dell’esibizione mette Acquasorgiva in tensione. “Io quando sto per salire sul palco sono elettrizzata, Sento della frenesia. A volte ho dei piccoli rituali, e uno di questi è proprio muovermi. Trasformare questa energia in azione. Se non lo faccio, diventa negativa e durante la performance, mi immobilizzo. Mi aiuta saltellare, fare avanti e indietro, mentre canto o fare stretching. I miei pezzi sono in italiano ma spesso mi piace fare anche quelli in inglese. Qualche volta, se cantare una cover non mi viene bene, smetto di farlo e anche di ascoltarle.Mi piace invece continuare a scrivere e fare musica. Vorrei diventare una cantautrice e un’autrice per terzi. L’ambiente dello studio di registrazione mi regala delle emozioni uniche, spero di passarci più tempo possibile.

Si aggiunge alla chiacchierata anche Francesco Di Iorio, che con Phil ha coordinato il progetto della serata. “La mia passione nasce da quando mi sono avvicinato alla chitarra verso i 15 anni, ascoltando i cantautori, la voglia di suonare e cantare è venuta da se. Diciamo che l’idea di riuscire a scrivere una canzone che mi piace mi fa essere soddisfatto e quindi è quello che desidero. Anche io prima di andare in scena sono ovviamente emozionato e un po’ teso: ma appena parte la performance riesco a immergermi completamente nella musica. Un palco come questo è esaltante, ho aneddoti vari sulle serate in cui ho suonato anche nei posti meno adatti. Spazi piccolissimi, impianti elettrici non adeguati, insomma situazioni in cui adattarsi è alla base. Cose che ti creano problemi, ma ti migliorano molto tecnicamente e nell’approccio ai live, e fanno aumentare la voglia di continuare a scrivere brani nuovi e suonarli in giro.

Lorenzo Patanè, batterista, occhi scuri e sorriso bellissimo, è l’unico non-cantautore della serata: ma la sua ritmica darà sostegno e solidità ai brani degli altri musicisti. “La mia passione nacque quando, quasi per gioco, andai a fare la mia prima lezione di batteria nel 2014. Da quel momento la mia voglia di suonare è cresciuta sempre di più e mi ha portato a suonare anche chitarra, basso e pianoforte. Da piccolo non pensavo mai alla musica, anzi, ne ero quasi spaventato con tutti quei rumori forti. La vita invece ha voluto che diventassi un batterista, e oggi lo strumento è parte di me. Le prime volte che sono salito sul palco avevo ansia, oggi totalmente sparita con l’esperienza: non c’è stato bisogno di particolari rituali, se non quello di riscaldare bene i polsi e fare un check mentale di tutto quello che devo portare sul palco e sulle parti più ostiche delle canzoni. Ora devo pensare a laurearmi, ma voglio continuare a suonare con gli amici di sempre in tutti gli eventi possibili sul territorio.”

 

La visione di Ninaif (Veronica Marchese), un’altra delle voci della serata, è diversa. “La passione nasce insieme a me, qualcosa di innato che mi bussava dentro. In da bambina sognavo di cantare, volevo diventare una cantante. Ma ai tempi ero troppo timida e mi nascondevo per farlo. Prima avevo paura, mi facevo prendere dall’ansia. Ma la voglia era più forte. Ora non ho più paura, mi sento piena di voglia e di adrenalina. Posso dire che dopo un lungo periodo di analisi, tanto dentro di me si è sbloccato permettendomi di essere realmente me stessa senza timore di esprimere la mia verità. Anche io, a parte scaldare la voce, non ho particolari rituali.”

Ninaif canta in italiano, anche se le sue radici sono diverse dal cantautorato degli ascolti di Francesco Di Iorio e Acquasorgiva. “L’italiano è la lingua che più mi appartiene, quindi mi piace scrivere principalmente in italiano e mi piace l’idea che tutti possano capire ciò che ho da dire. Ma quando si tratta di cover, mi piace cantare anche in inglese, e mi piacerebbe sperimentare anche altre lingue. Prossimamente uscirà un nuovo singolo. Per ora vi anticipo solo questo, ma di cose belle ce ne sono tante in programma. Mi piace sorprendere.

Gwenne (Ginevra Sciubba) è in linea con Ninaif. “Anche lamia passione per la musica è nata e cresciuta con me, e con il passare degli anni si è fatta sentire sempre di più. In famiglia nessuno condivide questa passione allo stesso livello, il che potrebbe sembrare strano, ma credo che questo la renda ancora più speciale per me.Ho sempre desiderato diventare una cantautrice anche quando ero troppo spaventata per ammetterlo persino a me stessa. È un sogno che mi accompagna da sempre, e non mi sentirei realizzata in nessun altro modo. Prima di salire sul palco, una sana dose di ansia mi accompagna sempre. Credo però che sia quell’ansia positiva, quella che si prova quando tieni davvero a qualcosa. In fondo, sarebbe strano non sentirla.

Sulla rinuncia all’italiano Gwenne ha pure idee molto chiare. “Ho sempre preferito cantare in inglese, probabilmente perché sono cresciuta ascoltando musica anglosassone. Questo ha influenzato molto il mio modo di scrivere e cantare. Nonostante ciò, non escludo l’idea di avvicinarmi maggiormente alla musica italiana in futuro, e sperimentare diverse modalità per esprimermi.

L’emozione dell’esecuzione, che percepiremo forte durante il concerto, è una delle sue caratteristiche. “Ricordo una volta in cui stavo eseguendo un mio brano particolarmente intenso dal punto di vista della dinamica, solo chitarra e voce. Durante l’esibizione, il plettro mi è caduto un paio di volte, per poi scoprire che si era addirittura rotto a causa della forza con cui stavo suonando! Credo che sia uno di quei piccoli imprevisti che rendono un’esibizione ancora più speciale.

Alessandro Orfini arriva elegante, cappotto over nero, e sorride a Gwenne e a me, anche lui ha voglia di raccontare qualcosa.“La mia passione per la musica nasce quando avevo solo 9 anni, quando ho iniziato a frequentare una scuola musicale a Civitavecchia. La scintilla iniziale è stata accesa da mio padre, che da giovane faceva il DJ e mi fece ascoltare la musica di Michael Jackson. Fu amore a prima vista: non solo mi innamorai della sua musica, ma anche della danza. Da lì ho iniziato a studiare danza e, più avanti, ho scoperto il mondo del musical, un universo che mi ha affascinato fin da subito.Successivamente, mi sono iscritto al liceo musicale, dove ho avuto l’opportunità di affinare le mie capacità, sia tecniche che creative, e di approfondire le mie conoscenze musicali. La musica è diventata così non solo una passione, ma una vera e propria parte di me, una forma di espressione che mi permette di raccontare la mia storia e di comunicare con gli altri. Poi,però, è stato durante il periodo del Covid, quando i teatri erano chiusi e ho cercato nuove modalità di espressione, che ho scoperto una vera e propria vocazione per la scrittura di testi e la composizione musicale. Mi sono reso conto che la musica era il mezzo più potente e autentico per raccontare le mie emozioni, e da lì è nato il desiderio di diventare non solo un musicista, ma anche un cantautore. Non si trattava più solo di una passione per la musica, ma di un modo per esprimere chi sono veramente.

La scrittura come mezzo di espressione, quindi: ma anche salire sul palco è fondamentale. “Ogni volta che mi esibisco, il momento prima di salire sul palco è sempre speciale, ma non mi sento mai sopraffatto. La cosa più bella per un artista è riuscire a creare una connessione con il pubblico, e il loro entusiasmo, gli applausi e le reazioni sono la più grande ricompensa. Ogni esibizione è unica, e cerco sempre di viverla come una nuova e straordinaria opportunità di esprimere me stesso. Per questo prima di andare in scena mi impegnonella preparazione emotiva: voglio che il pubblico percepisca la stessa emozione che provo io mentre mi esibisco, e per farlo mi concentro sull’autenticità e sulla sincerità di ciò che sto facendo. La magia di una performance stia proprio nel riuscire a trasmettere le emozioni in modo genuino e a farle arrivare al cuore di chi ti sta ascoltando.

Con queste priorità, l’uso dell’italiano è una scelta naturale.“È la lingua che sento più vicina alla mia espressione artistica. La tradizione del cantautorato italiano, con la sua ricchezza emotiva e poetica, è una grande fonte di ispirazione per me. Inoltre, l’italiano mi permette di creare immagini e raccontare storie in modo più diretto e autentico. Nonostante l’inglese abbia il suo fascino, non lo padroneggio abbastanza da poterlo utilizzare con la stessa sicurezza espressiva della mia lingua.

 

L’altra metà dei Manifesto, Valerio “Paco” Imperiale, aggiunge dettagli al racconto del suo socio Alessandro. “La mia passione per la musica credo sia dovuta ai miei genitori, che sin da quando ero più piccolo hanno sempre cercato di stimolarmi in questo senso. Non ho musicisti in famiglia ma grandi ascoltatori, cosa che mi ha permesso di venire a contatto sin dai primi anni con artisti quali Pink Floyd, Rolling Stones, Led Zeppelin, Pino Daniele, Lucio Battisti, fino al jazz più articolato. Insomma la musica per me e con me c’è sempre stata. Da piccolo sognavo di riuscire a replicare la musica dei grandi artisti che ascoltavo, ma senza la precisa volontà di intraprendere una carriera o altro. Era un semplice hobby, un piacere. Per me il calcio era la vera ossessione. Poi in quarto liceo si ribalta tutto, conosco Alessandro, il mio compagno di merende musicali e da lì la musica ha cominciato ad assumere sempre più importanza e centralità. Oggi direi che il mio futuro è e sarà nella musica, al momento non ci sono piani B, poi si vedrà. Il progetto principale è quello dei Manifesto che con il mio amico Alessandro stiamo cercando di portare avanti, con le nostre dovute difficoltà, ma anche tanta tanta voglia ed energia.

Il palco per Paco è un ambiente meno ansiogeno che per gli altri musicisti della serata. “Tolte le prime esibizioni, anticipate da un certo livello di ansia, i live e i concerti sono diventati per me una sorta di routine e quindi come si dice, ci ho fatto il callo. E nonostante questo, capitano esibizioni non particolarmente riuscite, un po’ ne abbiamo accumulate, purtroppo: una nello specifico che mi viene in mente fu in locale qui a Civitavecchia, faceva molto freddo, periodo di Carnevale con tantissimi bambini a scorrazzare e a urlare intorno a noi… e pochissimo interesse verso i nostri confronti da parte del pubblico, che per lo più era concentrato a seguire le prodezze dei pargoli. Noi eravamo agli esordi, ancora non molto preparati e con diversi problemi tecnici: e alla fine, visti i risultati, volevamo rifiutarci di prendere i soldi!

Dalla sala arriva la voce della presentatrice Silvia Tamagnini, che chiama i musicisti sul palco, mentre Enrico Caporossi, regista-tecnico dietro le quinte, prepara la sigla da lanciare: è ora di iniziare, e i musicisti si allontanano rapidamente.

Sarà un bellissimo concerto.

(Nadia Ceccarelli per FORTE! Festival, dicembre 2024. Foto di Roberta Barletta e Rico Tranquilli)

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